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Dallara: “Basterebbe tornare a un po' di sobrietà”

Giampaolo Dallara, in occasione dei 50 anni della Dallara Automobili, dà una visione di come si potrebbero affrontare alcuni problemi ambientali

Adriano Tosi
Pubblicato il: 07 apr 2022
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Le auto di serie diventeranno davvero tutte elettriche? “Il problema sono l’inquinamento e le emissioni di CO2, giusto? Se nel ciclo di vita del veicolo si riesce a essere neutrali, anche con motori endotermici, perché abbandonarli? Certo, al momento nessuno è ancora riuscito ad arrivare alle emissioni zero, però ci stiamo avvicinando. Detto questo, io credo che si dovrebbe tornare a una maggiore sobrietà. Le auto di oggi sono sempre più curate dal punto di vista dell’aerodinamica, però la superficie frontale cresce incessantemente, riportando al punto di partenza. Io dico che per fare i piccoli spostamenti ci si potrebbe accontentare vetture più piccole e meno potenti. Non è mica necessario andare a lavorare col SUV, né con auto da 250 km/h di velocità massima o, nel caso delle elettriche, avere per forza batterie da 400/500 km di autonomia”. Questo è solo un estratto dell’intervista concessa dall’ingegner Giampaolo Dallara in occasione dei festeggiamenti per i 50 anni di attività dell’azienda da lui fondata - la Dallara Automobili - ma dice molto sulla lucidità dell’uomo. Ma andiamo con ordine.

Dalla provincia italiana all’America

Prima di tutto, iniziamo con un po’ di storia, un breve estratto, perché per raccontarla tutta ci vorrebbero settimane di ricerca e scrittura e giorni di lettura. La Dallara Automobili da competizione nasce nel 1972 nasce con la SP1000, un progetto che prende forma nel garage di Giampaolo Dallara; sì, come Steve Jobs, però qualche anno prima. Nel 1984, Dallara inaugura la prima galleria del vento con tappeto mobile in Italia e nel 1985 è il turno della sua prima monoposto con monoscocca in fibra di carbonio, che fino a quel momento è utilizzata solo in F1, solo dai team di punta. Nel 1998 una monoposto Dallara taglia per prima il traguardo della 500 Miglia di Indianapolis; è il primo di numerosi trionfi, al punto che dal 2012 tutte le auto che corrono questa gara sono dell’azienda di Varano de’ Melegari. Sempre nel 2012, Dallara entra nella storia dei Cinque Cerchi: Alessandro Zanardi taglia per il primo il traguardo olimpico di Londra con la Z-bike, progettata proprio a Varano de’ Melegari; la medaglia d'oro verrà replicata nel 2016 a Rio. Nel 2013, nella sede vicino a Parma, diviene operativo il primo simulatore professionale di guida utilizzato per lo studio della dinamica del veicolo. Un sistema che, attraverso modelli matematici, permette di guidare un’auto non ancora costruita. E veniamo al 2017.

2017, il debutto su strada

Le competenze maturate in 45 anni di motorsport si condensano, nel 2017, negli 855 kg di peso della Dallara Stradale. Un concentrato di meccanica di altissimo livello e aerodinamica spinta all’estremo, per un’auto con targa e luci. La Dallara Stradale è una supercar a due posti, realizzata sulla base di una monoscocca in fibra di carbonio (pre-preg autoclave e hot compression moulding, come per le auto da corsa) e studiata nei minimi dettagli in galleria del vento. Le sospensioni sono a quadrilatero articolato, mentre il motore e l’elettronica di gestione della dinamica è sviluppato con la collaborazione di un partner di primissimo livello: Bosch. L’azienda tedesca ha contribuito fin dai primi test ai banchi motore e poi nella sperimentazione sui veicoli prototipali. La Stradale è inoltre equipaggiata con il sistema di controllo elettronico di stabilità Bosch - ESP 9.1 (con sensoristica specifica per un’auto che arriva a sviluppare fino a 2g di accelerazione laterale), messo a punto con il “bilancino”: sicurezza, certo, ma guai a mortificare il margine di controllo, e quindi di divertimento, del pilota. Il contributo di Bosch si è allargato anche al motore, un 2.3 4 cilindri turbo by Ford, sensibilmente rivisto (nella centralina motore ECU e nel sistema di iniezione diretta, tra le altre cose) per arrivare a quota 400 CV.

Dallara con le parole di… Dallara

Fatta la brevissima parentesi storica, se volete sapere tutto sulla storia della Dallara, il consiglio è di visitare il sito ufficiale di Dallara. Ora godetevi le risposte di Giampaolo Dallara alle domande poste dal Direttore di Quattroruote, Gianluca Pellegrini.

D: Sembra che il suo rapporto con il territorio sia molto stretto, è davvero così?
R: “Per me è incredibilmente importante il rapporto con la mia terra perché mi sento di dover pagare un debito di riconoscenza. Ancora adesso cerco di organizzare il futuro, affinché sia il più solido possibile. E poi, lo ammetto, quando ho iniziato era tutto un po’ più facile: innanzitutto la domanda di macchine da corsa superava nettamente l’offerta. E poi c’era decisamente meno concorrenza, in sostanza bastava avere qualche intuizione e tanta buona volontà.

D: Fra 50 anni Dallara sarà come Ferrari?
R: “No, Ferrari è un’altra cosa, detto che senza Ferrari non ci saremmo noi. Io non dimentico che ho iniziato a imparare proprio in Ferrari, con Carlo Chiti: facevamo tutto, per auto di ogni categoria. Però, siccome avevo fretta di misurarmi con le competizioni, ho accettato l’offerta di andare in Maserati come ingegnere di pista di Roger Penske e Bruce McLaren; io, così inesperto. Per fortuna è andato tutto bene. E poi la chiamata di Lamborghini per progettare auto stradali; anche a Sant’Agata Bolognese ho imparato tantissimo. Posso dire che fino al 1972 ho fatto l’apprendista, ho avuto il privilegio di imparare nei posti più formativi e tra l’altro mi pagavano anche per farlo… Ora che ci penso avrei dovuto pagare io per essere lì. Comunque dicevo, Lamborghini.

La prima è la Miura e se non fosse così incredibilmente bella non sarebbe il mito che è oggi, per cui bisogna rendere i giusti meriti a Marcello Gandini che l’ha disegnata. Nella Miura, di mio ci ho messo la perseveranza nel voler collocare il motore in posizione posteriore centrale. Detto questo, gli errori fatti sulla Miura sono incredibili: ha il motore controrotante per esempio, una complicazione assurda che ha comportato adattamenti artigianali pazzeschi. Oggi, con la consapevolezza maturata, non avrei il coraggio di fare quello che ho fatto allora. E poi la Miura è assolutamente insicura: serbatoio davanti al pilota (con bocchettone dietro, un altro mezzo metro di pericolo gratis) e vicino alla batteria, piantone rigido, ecc.. All’epoca, semplicemente, quasi nessuno badava alla sicurezza.

D: C’è ancora spazio per la “geniale follia” oggi?
R: “Certo che sì, guardate come stanno cambiando oggi le auto! Lo spazio per la creatività è molto grande, anche se si tratta di uno spazio meno “libero”. Oggi infatti è impossibile rischiare: tutto è calcolato e non si va per tentativi. Se alcune idee non funzionano al simulatore non vengono nemmeno messe in sperimentazione. Nel periodo della Miura, ma anche per diversi anni dopo, mettevamo in commercio soluzioni che poi ci rendevamo conto essere completamente sbagliate. Oggi, certe cose non sono più concepibili”.

D: Una sua frase famosa è questa: “Se cerchi di fare bene ciò che stai già facendo stai sbagliando: sì perché se fai qualcosa di buono vieni copiato” - ce la può spiegare meglio.
R: Da Colin Chapman (che per me è stato il più grande di tutti) hanno copiato tutti per esempio. Ma lui era sempre uno e a volte due passi avanti. Se tu fai bene qualcosa e vieni copiato, se non ti innovi ti stai preparando al declino. È una rincorsa continua insomma, anche perché di bravi ce ne sono tanti in giro per il mondo. Quando abbiamo realizzato la vettura LMP2 abbiamo pensato che con la nostra galleria del vento avremmo potuto fare meglio del competitor, che invece il primo anno ci ha battuto. L’abbiamo capito e l’anno dopo abbiamo vinto. Mai dare per scontato qualcosa”.

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D: Pensa che un domani ci sarà convergenza tra F1 e Formula E? Oppure la FE verrà messa da parte?
R: “Secondo me tutte le competizioni si daranno - ancora di più - una spolverata di verde. In Formula 1, per esempio, dal 2026 il powertrain andrà ancor di più in direzione dell’ibrido. Quanto alla Formula E, in una certa fase ha avuto grande successo tra i Costruttori ma la F1, vivace anche nella comunicazione, non si farà superare. Persino negli USA, grazie a Drive To Survive, la F1 è riuscita a crearsi un seguito importante. In generale credo che le macchine da corsa cambieranno, saranno sempre più elettrificate, ma secondo me il motorsport non sparirà”.

D: Le auto di serie diventeranno davvero tutte elettriche?
R: “Il problema dei problemi è l’inquinamento, la CO2: se nel ciclo totale si riesce a essere neutrali, anche con motori endotermici, perché no? Al momento nessuno è ancora riuscito ad arrivare alle emissioni zero, però qualcuno ci si sta avvicinando. Secondo me, comunque, si dovrebbe tornare a una maggiore sobrietà. Le auto di oggi sono sempre più curate dal punto di vista dell’aerodinamica, però la superficie frontale cresce senza sosta vanificando il progresso. Io dico che per fare i piccoli spostamenti bastano vetture più piccole. Non è mica necessario andare a lavorare col SUV né con auto da 250 km/h di velocità massima o, nel caso delle elettriche, avere per forza batterie da 400/500 km di autonomia.