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Una Porsche 356 tra i ghiacci: Frozen

Non è una Porsche 356 normale e non è neppure una replica in alluminio. È una vera Porsche 356 del 1956 travestita da carro armato. Perché? Perché sta andando all'Antartide

Top Gear Team
Pubblicato il: 07 gen 2022
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Non è una Porsche 356 normale e non è neppure una replica in alluminio. È una vera Porsche 356 del 1956 travestita da carro armato. Perché? Perché sta andando in un posto speciale. Un posto freddo e pericoloso, l’Antartide, l’ultima tappa di un tour attraverso sette continenti nel quale ha percorso 32mila chilometri, prendendo parte a sei tra i rally più brutali che l’automobilismo sportivo abbia mai visto.

Tour de force

Tutto è iniziato in Messico nel 2017,con la Carrera Panamericana (il rally su asfalto più pericoloso del mondo). Poi è stata la volta della Targa Tasmania (il rally su asfalto più veloce del mondo) e del Caminos del Inca in Perù (il rally su sterrato e asfalto più vecchio del mondo, con tratti a 4900 metri di altitudine). La tappa successiva è stata la Pechino-Parigi Motor Challenge (12 Paesi, due continenti, 29 mila chilometri, 36 giorni e una caterva di energy drink). Infine la Porsche è andata in Kenya per l’East African Safari Classic Rally, nella stagione più piovosa degli ultimi 40 anni. Ma c’era ancora un continente che mancava all’appello: l’Antartide. A questo punto vi starete chiedendo chi è il pilota masochista al volante. Un esploratore veterano con lo sguardo di chi ha visto tutto e la pelle indurita dalle intemperie? No, è una bella ed elegante americana 65enne, madre di quattro figli: Renée Brinkerhoff.

Tutti a bocca aperta

Quando mi vedono al volante della Porsche rimangono tutti sorpresi”, racconta. “Perché sono una donna e perché ho anche una certa età. Se ci pensi, in effetti è un po’ strano: una donna, l’unica donna, con più di 60 anni che partecipa ai rally più duri del mondo normalmente riservati a soli uomini. Ma lo adoro!” Renée non è arrivata alle corse nel modo tradizionale, ovvero dopo le classiche 10mila ore di kart, un po’ di autocross e i rally juniores, per poi fare il grande passo e partecipare a qualcosa di folle come il Safari Rally. Renée ha saltato tutti questi passaggi intermedi, iniziando a correre a cinquant’anni suonati dopo aver avuto una specie di epifania motoristica mentre faceva le pulizie di casa. “Stavo facendo il bucato e mi si è accesa una lampadina: dovevo assolutamente correre in auto”.

Salto nel buio a fin di bene

Qualche anno dopo Renée, senza la minima esperienza, ha preso parte alla Carrera Panamericana al volante di una Porsche 356 di cui si era innamorata. “Non riuscivo a smettere di tremare. Il primo giorno di gara, due fratelli un paio di auto davanti a me hanno cappottato, e uno di loro è morto. Tre giorni dopo un’auto ha preso fuoco e il navigatore è stato portato via in elicottero”. Eppure tutto questo non l’ha scoraggiata: Renée è stata la prima donna nella storia della Carrera Panamericana a vincere nella sua categoria. La Brinkerhoff ha poi deciso di prendere parte a diverse gare di tutto il mondo per far conoscere il suo ente di beneficenza, Valkyrie Gives, che si batte contro il traffico dei bambini.

Roba da brividi

Oggi Renée è di fronte alla sfida più grande e difficile della sua carriera: percorrere 573 km sul terreno più freddo del pianeta e diventare così il primo essere umano ad aver corso in tutti i sette continenti. Non contenta, Renée cercherà di stabilire un record di velocità su terra per l’Antartide. Una spedizione di questa natura richiede più di un cappotto caldo e di un ottimismo incrollabile. Accanto a lei a farle da navigatore ci sarà l’avventuriero inglese Jason De Carteret. Jason deve amare il freddo, visto che è stato quasi una dozzina di volte al Polo Nord e al Polo Sud, stabilendo diversi record.

Al calduccio

Considerando che Ferry Porsche non aveva certo in mente la tundra ghiacciata quando ha progettato la 356, è stato Kieron Bradley, esperto di Antartide, a costruire le parti meccaniche speciali per questo viaggio. Nel frattempo Richard Tuthill, guru delle 911 raffreddate ad aria e responsabile della Singer ACS, si è occupato degli altri elementi della Porsche. Per prima cosa ha sistemato il motore. Il problema delle 356 raffreddate ad aria, dis olito, è mantenere freddo il motore. Ma quando la temperatura esterna è di quasi 90 gradi sotto zero e il vento soffia a 320 km/h si ha il problema opposto: i carburatori e il carburante potrebbero congelare. Quindi adesso la 356 ha un nuovo sistema di aspirazione per l’aria calda e tubature ad hoc per mantenere la temperatura.

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Modifiche radicali

L’aggiunta estetica più vistosa sono i cingoli al posteriore. Creano l’effetto di una enorme gomma sgonfia, ma garantiscono la miglior distribuzione della massa e la massima trazione. Anche la posizione posteriore del quattro cilindri da 120 CV aiuta. Se al posto dei cingoli ci fossero stati grossi pneumatici si sarebbe dovuta tagliare la carrozzeria e alterare tutta la struttura degli assi, inserendo le ridotte. A fare da pendant ai cingoli posteriori ci sono gli sci all’anteriore, semplici solo all’apparenza. Sono in acciaio al cromo, la base è in politetrafluoroetilene ad alta densità con una lama longitudinale al centro, per fornire aderenza ed eliminare il rischio di sottosterzo. Poi c’è quella specie di mensola che sbuca dal paraurti anteriore: è uno degli elementi più importanti dell’equipaggiamento di sicurezza, per proteggersi da uno dei pericoli mortali dell’Antartide: i crepacci. Queste spaccature nel ghiaccio possono essere profonde centinaia di metri e inghiottire intere auto. Questo sistema di sicurezza ha anche una seconda (e una terza) funzione: è dotato di pannelli solari per potenziare i sistemi di comunicazione di bordo e, all’occorrenza, serve da bagagliaio fuoribordo per modificare il peso e l’equilibrio dell’auto nel caso in cui le condizioni climatiche cambiassero. Renée e il suo team stanno per affrontare uno dei viaggi più selvaggi, esclusivi e costosi del mondo. Ma anche uno dei più rischiosi. Quando leggerete questo articolo l’auto avrà già affrontato il viaggio verso il Cile, dove verrà caricata su un aereo cargo russo Ilyushin IL-76 che la porterà allo Union Glacier Camp. Da noi, un grande in bocca al lupo a Renée e al suo team per questa avventura.

Testo di Rowan Horncastle - Foto di Mark Riccioni