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Lamborghini Countach, la prova sul Passo dello Stelvio

Testo Ollie Marriage - Foto Mark Riccioni
Pubblicato il: 05 set 2022
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SPECIFICHE IN EVIDENZA

  • MOTORE

    6.498 cc, V12 aspirato, a benzina

  • POTENZA

    780 CV

  • 0-100

    2,8 secondi

  • C02

    n.d.

I nostri sguardi si alzano su per la nuda parete rocciosa e l’improbabile opera ingegneristica che la percorre. Poi di nuovo giù, a soffermarsi su un esotico cuneo bianco. Il vento si è alzato di nuovo e le nuvole si addensano. Qui il tempo cambia 20 volte al giorno. Prima, quando la pioggia si è abbattuta e non c’era riparo, ci siamo rifugiati nel Berghotel Franzenshöhe alle nostre spalle. Siamo stati fortunati che ci fosse qualcuno. Una marmotta paffuta attraversa le rocce proprio sopra di noi, interrompendo le nostre contemplazioni paesaggistiche. “Devo rientrare” ci dice Stephan Bauer, direttore del Passo dello Stelvio. “Ricordati che stiamo facendo dei lavori di riqualificazione tra il 32esimo e il 31esimo km”. Lui si dirige verso la sua Jeep Renegade, io mi avvicino all’esotico cuneo bianco.

Che la sinfonia abbia inizio

È la nuova Lamborghini Countach. Alzo la portiera, scivolo nel minuscolo abitacolo rosso sangue e mi siedo lì, guardando fuori e ammirando un’altra volta quel panorama fatto di cime maestose, roccia scura, neve e deboli tracce a zig zag dell’attività umana. Il mio “balcone” è un parabrezza così appiattito da sembrare un lucernario. Il Passo dello Stelvio è chiuso. Questo significa che solo noi, cioè io e l’esotico cuneo bianco, abbiamo a disposizione una delle strade più straordinarie del mondo. Premo il pulsante di avviamento. Un breve stridio del motorino d’avviamento e i 12 cilindri prendono fragorosamente vita. A 2.188 metri d’altezza l’aria è già piuttosto rarefatta, quindi il motore aspirato da 6,5 litri non svilupperà tutti i suoi 780 CV.

Per contro il motore elettrico non subirà alcuna costrizione, ma si tratta di soli 33 CV che la Countach utilizza per rendere più “fluidi” i cambi di marcia. Per quanto riguarda la mia esperienza, il termine “fluido” non è la parola che userei per descrivere il cambio manuale sequenziale. In ogni caso i due propulsori, lavorando in sinergia, portando la cavalleria complessiva a quota 814 CV. Tutta questa potenza è distribuita su tutte e quattro le ruote, ognuna delle quali munita di uno pneumatico invernale: io e la Lamborghini siamo attrezzati a dovere. Ma è più che altro una cautela anche perché, se tutto dovesse andare terribilmente male (ma facciamo gli scongiuri…) ci sono una monoscocca in carbonio e un sacco di airbag a proteggermi.

Si parte

La strada è impressionante. Mentre inizio la prossima fase della salita mi viene in mente un’altra cosa che Stephan mi ha detto: “Immagina quella parete senza la strada. È sorprendente, no?”. Il passo qui sale a tappe, coppie di tornanti punteggiati da rettilinei più lunghi che portano più avanti in questa alta valle, verso l’obiettivo, cioè gli ultimi 14 tornanti. Si sale su per un pendio veramente ripido, la strada s’inerpica con pendenze che arrivano fino a 60°. Per cento anni “Lo Stelvio” ha avuto un’importanza strategica - qui si sono combattute battaglie durante la Prima Guerra Mondiale - ma già prima di allora i turisti l’avevano scoperta, compiendo il viaggio di una giornata intera in carrozza tra Bormio, in Italia, e Prad am Stilfserjoch, in Austria. I confini si sono spostati e oggi il paesino di Prato allo Stelvio è in Italia, ma le radici sono rimaste: la gente parla entrambe le lingue e i cartelli stradali sono bilingue. Oggi lo percorriamo più veloci. La Countach ulula lungo i rettilinei, i giri si impennano in un trionfante boato a cui viene data possibilità di esprimersi. Almeno entro certi limiti: l’urlo del V12 è udibile a grandi distanze, ma in qualche modo il ruggito si disperde diventando una sinfonia quasi educata. Al volante è tutto estremamente elettrizzante: ci vorrebbe una maggiore pressione atmosferica, ma anche se quassù i 814 CV non sono più di 600, importa poco quando alle vostre spalle c’è un monumentale dodici cilindri che scalcia.

Massima cautela

La metà di questa potenza è comunque troppa per il Passo delloStelvio. È stretto, accidentato, le pareti rocciose incutono timore, anche se meno delle balaustre in pietra e dell’aria fresca che si respira al di là di esse. La Countach deve lavorare sodo. Soffre soprattutto sugli ultimi 14 tornanti: il cambio passa ferocemente dalla prima alla seconda con il differenziale autobloccante che singhiozza e la spia della trazione che lampeggia quando le ruote si sollevano in curva. Ma anche per questo è un’esperienza indimenticabile che rimarrà viva nel mio cuore per anni a venire. Portare un’auto come questa in un contesto che non le appartiene ti dice (e ti lascia) molto di più rispetto a lanciarla massima velocità su un lungo rettilineo. Mi fermo appena prima della barriera della vetta dove c’è un insediamento. Negozi, un bar, alcuni impianti sciistici estivi. Tutto chiuso: una barricata di persiane abbassate. Ma che vista mozzafiato! Contemplando il panorama da quassù mi rendo conto senza la strada qualcosa si perderebbe in termini di resa scenografica. Sarebbe solo un’altra valle, come (più o meno…) tante altre. È ora di tornare giù.

In discesa si deve stare ancora più attenti

In discesa si guadagna velocità più facilmente, questo è certo. Il primo tornante ci ricorda di frenare prima, per evitare che l’angolo di pendenza sommato al trasferimento di carico portino a grattare lo splitter. Ma c’è di più: con una lunghezza di 4,9 metri, una larghezza di 2,1 e un’altezza da terra che permette appena alla punta del mio stivale da trekking di infilarsi sotto il muso, a ogni tornante bisogna prendere la linea più larga possibile, cosa ovviamente impraticabile in caso di traffico. Che non c’è, anche se abbiamo comunque degli ostacoli da affrontare: una o due volte durante la salita, come ci aveva avvertito Stephan, mi sono dovuto fermare per spostare delle rocce dalla strada.

Scendendo ne trovo altre, ma non è il caso di restare fermi a lungo su una supercar da € 2.000.000 in un posto dove i massi cadono in continuazione. Da sei ad otto settimane, questo è il tempo necessario per aprire ogni anno lo Stelvio. Operatori specializzati vengono calati lungo le pareti rocciose, per “depurarle” a suon di calci da tutti i massi che potrebbero cadere in seguito. Ve lo immaginate? All’improvviso mi viene voglia di raggiungere la sicurezza della linea degli alberi, così mi butto in discesa. Nel corso degli anni molte aziende hanno usato lo Stelvio per testare i freni delle loro auto, ma i solidi e rassicuranti carboceramici della Countach non si sono minimamente scomposti.

Qualche cenno di storia

Dopo il tornante 32 - dove lo Stelvio è più scuro, accidentato e stretto - la strada è tecnicamente aperta. Il fitto bosco di pini avvolge la strada che snodandosi entra ed esce dalla visuale. Trafoi, il primo paese che si incontra, è ricco di storia. L’hotel Bella Vista al tornante 46 è l’originaria linea di partenza della cronoscalata, corsa per la prima volta nel 1898. Per la cronaca, vinse una Daimler. Nel 1935, quando le Alfa Romeo di Tadini e Nuvolari si sfidarono, scalarono i 46 tornanti (14.6 km e 1.446 metri di dislivello) in poco più di 14 minuti. Per rendersi conto di quanto questo sia ancora un tempo sorprendentemente veloce occorre venire qui e percorrerla. Scendiamo più in basso fino a Prato, per percorrere la galleria aperta da un lato che al passaggio del V12 Lamborghini si trasforma in un inferno sonoro. Poi arriva la manovra più snervante di tutte: la retromarcia nel parcheggio sotterraneo di Trafoi. È buio pesto, piove e la telecamera posteriore ricoperta di gocce fa fatica ad assistermi.

Una piccola “prova speciale”

Il mattino dopo mi concedo un regalo. Prendo la chiave della barriera e faccio un giro completo dal basso verso l’alto all’alba. Epico! Il rumore, lo sterzo preciso, le viste che si aprono e si chiudono, l’asfalto che scorre sotto di me, le vibrazioni, la potenza e il grezzo carisma della Countach sono emozione pura. Ieri ho imparato che bisogna usare la modalità Sport: in Strada le marce sono troppo lente e il controllo di stabilità è troppo invasivo, in Corsa l’assetto è troppo rigido. Ma questa è una supercar in cerca di spazio per sgranchirsi le gambe.

Dieci minuti dopo siamo circondati da campi di neve incontaminati. Le strade attorno a Bormio sono meno spettacolari, ma molto più aperte e scorrevoli. Meno tornanti e superfici stradali migliori. La Countach, a briglie sciolte, galoppa. Non è affatto una hypercar moderna: sotto è praticamente identica alla Sián, che a sua volta aveva molto in comune con la Aventador, ma l’età e la tecnologia sono servite solo a ingigantire il suo valore. Non si vergogna di sé stessa, questo è certo. Vuole correre, ma non oso permetterglielo. Ogni tanto appare un’auto. I proprietari dei negozi e dei bar lavorano in vista della riapertura della strada.

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E quindi, com’è la Countach?

Dovrei parlarvi della macchina, ma prima lasciate che vi dica cosa significa per me la Lamborghini. È stata la prima parola complessa che ho saputo sillabare, ho collezionato ogni poster, rivista, modellino, libro e pacchetto di figurine Panini che avessero in qualche modo a che fare con la Countach originale. È stata l’auto dei miei sogni adolescenziali. E la nuova Countach LPI 800-4 non è un tributo adeguato. L’originale è stata una rivoluzione, non solo ha definito gli anni Settanta, ma ha anche definito il concetto stesso di supercar che conosciamo e amiamo. La Lamborghini dice che se l’originale si fosse evoluta sarebbe questa. Ma, no, la Countach era, e dovrebbe ancora essere, l’auto dirompente per eccellenza, l’icona che ridefinisce lo status quo. La nuova avrebbe dovuto rappresentare un salto, una nuova direzione. La Countach non dovrebbe essere una Sián che indossa un abito retrò poco convincente. Dalla visuale tre quarti anteriore, soprattutto dal basso, è abbastanza riuscita, ma avrebbe comunque dovuto essere più spigolosa e selvaggia. Se l’avessi progettata io avrei mantenuto l’ala della LP5000. Non è nemmeno una grande auto da guidare: il cambio è impacciato e il telaio è al limite del nervosismo.

Ma il Passo dello Stelvio non è una strada ideale. Nonostante ciò voglio tornare a percorrerla di nuovo, e sinceramente preferirei rifarlo al volante della Countach piuttosto che con una Ferrari SF90, una McLaren 765LT o una Porsche 911. Perché in definitiva la Countach e il Passo dello Stelvio condividono una cosa: una gloriosa ed emozionante teatralità che, di questi tempi, non è affatto poco. Anzi.