Sembra un mezzo serio...
Lo puoi ben dire. Almeno fino a quando non ne cogli le dimensioni esatte, capisci quanto sia davvero piccola e cerchi di resistere alla tentazione di accarezzarla. È uno scricciolino, alto meno di un metro e pesa solo 643 kg. Il primo pensiero che sorge spontaneo è "ecco la Mia Prima Auto per Le Mans". Ha tutti i pezzi giusti, ma non sarà troppo carina per andare forte?
A cosa serve?
Nasce per le corse. C'è una serie monomarca creata apposta per lei, ma un esemplare ha anche vinto il campionato Britcar Endurance 2020, ottenendo sette vittorie su nove gare. A seconda dell'atteggiamento degli organizzatori, può gareggiare nella classe GT3, contro macchine più "adulte" come la McLaren 720S GT3, la Ferrari 488 GT3 Evo e la Porsche 911 GT3 R. Praga afferma che spesso non gli è permesso competere perché è troppo veloce: esclusa per manifesta superiorità.
Che motore monta?
Un quattro cilindri turbo da 2,0 litri di una Formula Renault, che sviluppa 370 CV a 6.900 giri e 395 Nm costanti da 3.750 a 6.000 giri. Il che è abbastanza quando stai portando a spasso così poco peso. Tanto vale che anche il pilota si tenga a dieta. La forza motrice arriva alle ruote posteriori attraverso un cambio Hewland a sei velocità, mentre le sospensioni sono a doppi bracci trasversali con schema push-rod su ogni ruota e un mare di regolazioni. Tutto è collegato a un telaio in fibra di carbonio con un unico sedile centrale. L'aerodinamica è curatissima: sopra i 200 all'ora il costruttore dice che il carico aerodinamico supera il peso.
OK, ma prima di andare oltre: Praga, chi sarebbe?
C'è tempo per una lezione di storia. Praga affonda le radici in un passato lontano, agli inizi del Novecento e ha avuto trascorsi in stile Ariel. Praga iniziò a operare nel 1907 e crebbe rapidamente. Inizialmente costruì le automobili, ma negli Anni 20 0 aveva aggiunto alla produzione camion, autobus, biciclette e persino mezzi agricoli al suo portafoglio. Poi vennero anche aerei e filobus. Non era certo un'azienda priva di ambizione.
Poi è diventata una vittima della geopolitica. L'occupazione nazista durante la seconda guerra mondiale ha visto la produzione in fabbrica passare a carri armati e altro materiale bellico, e il regime comunista che lo ha sostituito ha stabilito che la produzione del dopoguerra dovesse essere limitata ai camion e, dal 1964, concentrarsi esclusivamente sui componenti di trasmissione. Pur essendo stata una delle più grandi aziende di ingegneria automobilistica dell'Europa centrale nella prima metà del XX secolo, Praga alla fine è scomparsa. Nessuna resurrezione in stile Skoda.
E questo fino a quando?
Fondamentalmente fino all'inizio del XXI secolo, quando riapparvero moto da cross e camion con lo stemma Praga. Nessuna macchina da strada si è ancora vista (anche se lo cose potrebbero presto...), mentre le prime auto da corsa risalgono a circa un decennio fa. La prima è stata la R4S, poi la R1R e ora la R1.
E com'è, dunque, questa R1?
Una volta che ti sei calato nell'abitacolo, dentro è più grande di quanto ti aspetti, ma l'operazione è complicata per i più alti. Da quel momento in poi ti senti come se stessi indossando la macchina, invece di guidarla. Lo spazio e il peso (o meglio la loro mancanza) rendono unica l'esperienza.
La R1 è arrivata all'Autodrom Most per la Speed Week perché volevo che un'auto ceca fosse il nostro mezzo per un circuito ceco. Ciò ha voluto dire girare insieme a molte altre vetture molto veloci, dalla BMW M4 CSL e Porsche GT4 RS alla McLaren Elva e alla Ferrari 296 GTB. Tutte sembravano imponenti attraverso il parabrezza del Praga: alte, grandi e... lente in curva. L'R1 era simile a una vespa nelle sue reazioni e nei cambi di direzione, un'impressione esaltata dal ronzio frenetico e dalle vibrazioni all'interno. Il rumore fa sembrare la GT4 RS un esempio di placidità.
La Praga ha dato il meglio di sé nelle curve a bassa e media velocità, devastante in frenata con un ottimo equilibrio del telaio che ha permesso di frenare fino alla corda senza un filo di sottosterzo o sovrasterzo. Non è il massimo in fatto di feeling con il pedale, ma questa è la norma per le auto da corsa, quando le cose sono così turbolente e frenetiche all'interno.
Più presa che potenza in uscita, il che è sempre positivo per la fiducia. Le gomme slick calde hanno fatto la differenza. Nel tratto sul lato posteriore del circuito la R1 doveva essere 15-20 km all'ora più veloce alla corda di qualsiasi altra vettura. E poiché è così leggera e precisa, hai un feedback fantastico. È il mezzo giusto, dice Praga, per arrivare un'accelerazione laterale di 3G.
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Il grip non manca, insomma?
Assolutamente no, ma sembra ben gestibile nonostante la velocità da capogiro. Ciò è dovuto principalmente alle dimensioni: sembra un po' di stare su un go-kart tanto è contenuta la massa e tanto sono immediate le risposte a ogni comando. Sembra un'auto più semplice e comunicativa rispetto ad altre macchine GT3 standard che ho guidato. In tutte senti di dover combattere contro una certa quantità di peso e sei leggermente meno consapevole di quello che sta succedendo. Qui tutto è è più diretto e hai scariche di adrenalina più forti perché il coinvolgimento nella guida è totale.
Il motore, in fin dei conti, è la parte meno eccitante e l'accelerazione diminuisce in modo significativo quando la velocità sale. Lungo il rettilineo principale la sua velocità è di 235/240 km/h mentre l'Elva e la 296 transitano a oltre 260 km/h. Ma sono hanno carrozzerie più filanti e ben oltre il doppio della potenza.
Quali altri vantaggi ci sono?
Anche se non hai intenzione di usarla per le gare, per quanto offre merita di essere valutata come macchina da pista. Non ultimo per il fatto che è più conveniente delle rivali e ha costi di gestione molto più bassi. Consuma meno carburante e pneumatici e ha sollecitazioni meccaniche ridotte, oltre a intervalli di revisione di 4.500 km per il più semplice motore da 2,0 litri.
È diversa da tutte le altre, è una macchinetta dall'aspetto malvagio, e la manovrabilità e le sue prestazioni mi rendono entusiasta di ciò che Praga potrebbe inventare dopo. Non me lo aspettavo davvero.
Fotografie: Mark Riccioni