Audi RS6, prima e ultima a “confronto”
Siamo andati a Ingolstadt, culla di Audi, con l’ultima generazione di RS6. Per incontrare la prima, di RS6, e fare un viaggio nel tempo
photo credit: Simon Palfrader
Vent’anni. Tanto basta a un’idea per passare da rivoluzionaria a pezzo da museo. L’idea in questione è quella di prendere una station wagon di grandi dimensioni, attorno ai 5 metri di lunghezza, metterle un motore da supercar - rigorosamente a benzina, turbo - sotto al cofano e cucirle addosso un telaio all’altezza. Qualcosa di cui si aveva avuto un antipasto nel 1994 con la RS2, poi RS4. Ma è con la RS6 del 2002, appunto, che il concetto della station wagon supercar si allarga alla familiare più grande dei Quattro Anelli.
La metamorfosi
Ed è così che vent’anni fa la A6 diventa RS6. Un’auto, un simbolo dell’eccellenza automobilistica tedesca ma anche un vero e proprio innesco esplosivo sulle autostrade di tutto il mondo (soprattutto sulle Autobahn tedesche), dove questo oggetto così amabilmente folle diventa lo spauracchio di chiunque si trovi al volante di Porsche, Ferrari e compagnia bella. Oggi, con l’elettrificazione e il politically correct imperante, un oggetto come la RS6 è condannato inesorabilmente all’estinzione. Purtroppo.
Ecco perché ho deciso di dare il giusto tributo alla RS6, andando con l’ultima generazione a Ingolstadt - culla di Audi - dove il reparto Audi Tradition mi ha affidato, non senza qualche preoccupazione, la prima RS6. Una reunion che ovviamente non voleva essere un confronto, che sarebbe ingiusto e insensato. No, l’obiettivo era quello di goderci due prodezze meccaniche e ingegneristiche prima che sia troppo tardi. Prima che le leggi spengano i loro V8 per lasciar spazio ai sibili dei motori elettrici. Che sicuramente saranno molto più potenti e prestazionali, ma l’emozione del sound di 8 pistoni che si muovono armonicamente non ce la ridarà indietro niente.
Un’auto, un simbolo dell’eccellenza automobilistica tedesca ma anche un vero e proprio innesco esplosivo sulle autostrade di tutto il mondo
Certe cose non si toccano
RS6, 2002 - 2022. In vent’anni ne sono cambiate di cose. Alcuni elementi però sono rimasti sempre lì, intoccabili. Il già citato motore, sempre V8, con una piccola parentesi V10 sulla seconda generazione. E poi i passaruota muscolosi, per fare posto a carreggiate allargate e gomme gigantesche, che arrivano a 19 pollici al massimo sulla prima generazione, a 22 pollici sull’ultima. Ancora: le griglie voraci d’aria, per rinfrescare il motore e fornirgli tutto l’ossigeno di cui ha bisogno. Gli scarichi ovali, dai quali esce una sinfonia che mai nessun sintetizzatore elettronico potrai mai nemmeno avvicinare. I sedili avvolgenti e il volante sagomato. I freni maggiorati e forati.
Design e funzione
In poche parole, tutto ciò che si vede ha una funzione ben precisa: qui non c’è posto per griglie e scarichi finti di cui le auto oggi sono fin troppo piene. Una cosa però differenzia nettamente le due RS6 dal punto di vista estetico: quella del 2002 è il trionfo dell’understatement e solo un occhio esperto la distingue da una normalissima 2.5 TDI. L’ultima è volutamente vistosa: larghissima, schiacciata a terra, minacciosa da qualsiasi angolazione la si guardi, non fa nulla per passare inosservata. Questione di gusti, impossibile dire quale sia la più bella.
Il motore
Tornando al design legato alla funzione, va detto che di spazio - anche fisico - per i fake sulla RS6 non ce n’è mai stato. Tutto è portato al limite, sulla base di tre colonne portanti, dal punto di vista tecnico: la trazione 4×4, i già citati motori V8 o V10 e il cambio automatico; tutti incessantemente evoluti però mai messi in discussione. E da dove cominciare se non dai motori, vera anima pulsante e canora di tutte le RS6? Dalla prima all’ultima ballano 150 CV e 240 Nm di coppia. 450 CV e 560 Nm contro 600 CV e 800 Nm.
Rimangono fisse l’architettura V8 (solo la seconda RS6 avrà un V10) e la sovralimentazione. Cala invece la cilindrata: la prima RS6 è quattromilaedue, l’ultima è quattromila, con l’aggiunta però di un piccolo modulo elettrico che di fatto la rende ibrida, seppur di tipo mild. Volete sapere come la penso? Con tutto il rispetto per questo ibrido a 48 Volt che i consumi, seppur di poco, li riduce davvero, si tratta più che altro di un contentino per la legge e per la coscienza. Avete presente quando bevete il caffè senza zucchero per risparmiare 5 calorie dopo averne ingurgitate 5.000 a pranzo? Ecco, siamo lì.
E le risposte al pedale del gas
E visto che siamo in tema di motori, i due V8 non sono così distanti a livello di sensazioni. Sarà perché il 4.2 della prima generazione è più “libero” dai filtri anti inquinamento, sarà perché l’auto è più leggera di 285 kg (1.865 contro 2.150 kg), il risultato è che non si direbbe che a separarli ci sono 150 CV. Piuttosto, a fare la differenza (in negativo) per la RS6 del 2002 è il cambio: talmente lento che pensavo si fosse rotto, la prima volta che ho dato tutto gas. Di sicuro non ha aiutato il fatto di aver guidato per 500 km abbondanti, il giorno prima, l’ultima RS6, il cui 8 marce è invece fulmineo.
Modifiche profonde
Come avrete capito, non basta il trapianto di motore per fare di una SW una sportiva: pensate che per trovare spazio al V8 4.2 (rivisitato da Cosworth) nel vano della prima RS6, gli ingegneri di Ingolstadt si vedono costretti ad allargare l’avantreno di 4 centimetri.
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Con tutto il rispetto per questo ibrido a 48 Volt che i consumi, seppur di poco, li riduce davvero, si tratta più che altro di un contentino per la legge e per la coscienza. Avete presente quando bevete il caffè senza zucchero per risparmiare 5 calorie dopo averne ingurgitate 5.000 a pranzo? Ecco, siamo lì
E le sospensioni? Come fare a mettere d’accordo il comfort che si richiede a una familiare e la precisione necessaria per gestire potenze da supercar? La risposta sulla prima RS6 si chiama Dynamic Ride Control. Gli ammortizzatori di un lato dell’auto sono vincolati con quelli collocati diagonalmente all’opposto e questo permette per esempio di irrigidire, in curva, gli ammortizzatori delle ruote esterne, in modo però “incrociato” con quelli delle ruote interne, in modo da compensare eventuali trasferimenti di carico verso l’avantreno o il retrotreno. Una soluzione interessante, peccato, anche in questo caso, che il confronto tra questa auto e la sua erede sia impietoso. Qui sotto spieghiamo il perché.
L’ultima sterza anche dietro
L’ultima generazione di RS6, rispetto alla prima, fa il passo avanti più grande in termini di handling. Il merito è dello sterzo integrale dinamico - più diretto alle basse andature e viceversa - e, soprattutto, dell’assale posteriore a ruote sterzanti. A basse velocità, le ruote dietro sterzano in controfase rispetto a quelle anteriori, fino a un massimo di cinque gradi. Una manna per l’agilità. Non ci sono sospensioni a controllo elettronico che tengano; la capacità della sterzata integrale di rendere agili macchine grandi e grosse ha dell’incredibile. Giri appena il volante e sei già al punto di corda; così tanto che a volte la prontezza può risultare addirittura eccessiva, arriva quasi a togliere un po’ di feeling e di naturalezza. Quando però ci si abitua, è difficile farne a meno. Oltre i 100 km/h, le ruote posteriori sterzano fino a un massimo di due gradi nella stessa direzione di quelle anteriori, a vantaggio della stabilità.
Il mondo alla rovescia
Al volante, quindi, le sensazioni sono clamorosamente “invertite”. La prima RS6, che sembra decisamente più piccola, snella, agile, in realtà è di gran lunga la più impacciata tra le curve. Rolla di più, richiede più angolo di sterzo, se perde aderenza lo fa con le ruote anteriori. La nuova invece si infila in curva con rapidità disarmante, soprattutto laddove te la immagineresti lenta e macchinosa: nelle curve strette.
Frenata racing
Capitolo freni: la RS6 fa il più grande progresso fra la prima e la seconda generazione. È qui che diventa disponibile per la prima volta l’opzione freni carboceramici. Un’opzione irrinunciabile per chi voglia fare ogni tanto dei track day, ma anche per chi, dopo aver accompagnato la famiglia in montagna, torna in città a ritmi non del tutto rispettosi del Codice della Strada. E qui mi fermo… Detto questo, la sensazione che restituisce il pedale del freno non è poi così diversa fra le due auto: non per demerito della "nuova" bensì per l'ottimo livello dell'impianto Audi già vent'anni fa. Ovviamente, questo discorso vale nell'uso stradale, lo stress della pista molto probabilmente cambia in modo netto le carte in tavola.
In conclusione
Quindi, cosa mi porto a casa da questa reunion? Gioia e riconoscenza, perché avere la possibilità di guidare auto così rare è un vero privilegio. Ammirazione per ingegneri e tecnici di ogni livello per l’incredibile evoluzione che sono riusciti a mettere su strada in un periodo tutto sommato breve. E nostalgia, perché pur di inseguire una transizione elettrica rapida a tutti i costi stiamo buttando via anni e anni di evoluzione, proprio quando avevamo raggiunto un livello di sostenibilità impensabile anche solo 15 anni fa.